Cronaca

Le ferrovie, un bene da salvare e potenziare

Da troppi anni, in Italia, si assiste ad una continua ed inesorabile riduzione dei treni. Purtroppo le proteste stentano ogni volta a farsi sentire, finendo nel vuoto (esattamente ciò che del resto desiderano i responsabili dei “ridimensionamenti”). Negli ultimi anni, proprio in Italia, sono state chiuse troppe ferrovie: in Campania la Avellino-Rocchetta e la Benevento-Campobasso (oltre a riduzioni sulla Benevento-Avellino e sulle linee EAV), in Puglia la Foggia-Manfredonia e la Gioia del Colle-Rocchetta (oltre a riduzioni nel circondario di Bari e tra Barletta e Spinazzola), in Sicilia la Caltagirone-Gela e la Palermo-Trapani (per smottamenti o crolli, oltre a varie riduzioni nel nodo di Ragusa), in Friuli la Maniago-Gemona (il tratto riaperto riguarda soltanto i Comuni tra Sacile e Maniago), tra Lombardia ed Emilia la Cremona-Piacenza, nelle Marche la Fabriano-Pergola e la Ancona-Ancona Marittima, in Abruzzo la Sulmona-Isernia (oltre a varie riduzioni a L’Aquila, Sulmona e Roccasecca), in Molise la Campobasso-Termoli, tra Puglia, Basilicata e Calabria la Sibari-Taranto. Poi c’è il Piemonte, dove le sforbiciate hanno avuto il maggior peso: un taglio criminale, che va dalla Mortara-Asti-Castagnole alla Alba-Castagnole, dalla Cuneo-Saluzzo-Savigliano alla Pinerolo-Torre Pellice, dalla Cevo-Ormea alla Tortona-Arquata Scrivia, dalla Tortona-Novi Ligure alla Alessandria-Ovada, dalla Chivasso-Asti alla Vercelli-Casale, dalla Novara-Pino alla Novara-Varallo Sesia. Una lista tristemente interminabile, a cui si aggiungono diverse ferrovie il cui traffico regolare è sospeso da qualche decennio (la Sicignano-Lagonegro e la Agrigento-Porto Empedocle) e a cui si aggiungono i treni notte per lo Jonio, Agrigento e Palermo dalle varie città del Nord ora ridotti al lumicino. Occorre allora ragionare sul perché tutti i collegamenti eliminati vadano ripristinati e sul perché sia necessario puntare sul ferro: non serve elettrificare linee, se poi le corse vengono costantemente ridotte di anno in anno! Ad esempio, si fa spesso il confronto tra l’Italia e l’Europa: tra i requisiti minimi, per poter instaurare un confronto degno con le altre regioni europee, vi sarebbe il treno come mezzo di trasporto primario e fondamentale. Sì, perché i treni eliminati vengono in gran parte sostituiti da autocorse: bus che impiegano più tempo e che di conseguenza scoraggiano l’utilizzo del mezzo di trasporto pubblico (dunque non lamentiamoci se sempre più persone utilizzano la propria automobile), bus che si aggiungono alle lunghe code in strada e bus che partecipano all’inquinamento ambientale. Per esempio, i giovani di “Fridays for Future” stanno facendo un buon lavoro, ma dovrebbero ripartire proprio dal dialogo con le varie istituzinoi in modo da potenziare il servizio ferroviario (l’unico ecosostenibile). Invece, a differenza delle regioni europee, i bus aumentano (una consuetudine tutta italiana), mentre i treni diminuiscono. Purtroppo, soprattutto in Veneto, prevale un ragionamento incentrato soltanto sul cinismo: il treno non raggiunge una soglia definita di persone a bordo? Si taglia. Senza preoccuparsi del fatto che se il treno è poco frequentato, forse è colpa in parte degli stessi amministratori: l’utilizzo del treno non è sufficientemente promosso, i ritardi sono all’ordine del giorno, le corse sono sempre meno e di conseguenza si scoraggia l’utilizzo del treno. Anziché aumentare i collegamenti e puntare sul servizio ferroviario, si eliminano corse, peggiorando la già critica situazione: critica per i pendolari, per il territorio (che risulta sempre più impoverito, perché le zone più colpite sono quelle geograficamente “periferiche”) e per il turismo (il quale, in una regione tanto all’avanguardia come il Veneto, dovrebbe potersi spostare con mezzi pubblici frequenti). Infine, sperando sempre in un ripensamento e in un cambio di rotta generale, non mi rimane che prendere atto di una certa “sfacciataggine” da parte degli autori dei tagli: quando questi non vengono nascosti, sono rivendicati quasi con orgoglio. Come se si stesse facendo qualcosa di positivo. Verrebbe da chiedersi: è questo il futuro che vogliamo? Fortunatamente, negli ultimi anni, alcune delle linee in questione stanno ripartendo con un servizio periodico turistico. Una formula che si è dimostrata più volte vincente, in grado di rilanciare interi territori attraverso la promozione di una mobilità dolce e del patrimonio storico e culinario del territorio. Tuttavia, la riattivazione a fini turistici non basta: deve essere soltanto un primo tassello per la riapertura delle varie linee, dopo anni bui di chiusure e tagli. Vi è la possibilità (purtroppo fino ad ora soltanto “potenziale”) di creare un servizio Regionale ragionato: senza sovrapposizioni con linee di autocorse, dotato di corse frequenti nella giornata in modo da promuovere il trasporto via ferro e spingere all’utilizzo del treno (così è in Europa, ma non in Italia) e soprattutto con del materiale rotabile di ultima generazione. Mi rendo conto che i costi non siano bassi, ma nulla è impossibile: spesso il taglio delle linee più deboli va a rafforzare quelle più forti. Nonostante il taglio dei trasferimenti dei fondi dallo stato (anche in questo caso sarebbe auspicabile un ripensamento), come fanno alcune regioni virtuose (Lombardia, Toscana) ad aver tagliato soltanto una minima parte dei treni? Con un’adeguata promozione e una politica a favore, il servizio verrebbe in gran parte ripagato con i biglietti. Inoltre, deve essere un invito alle Regioni a destinare più e meglio i soldi nell’ambito ferroviario. Se si vuole davvero competere con l’Europa, non finirò mai di ripeterlo, si parta dall’incentivo di un mezzo di trasporto sostenibile. Il treno. A.B.