Cronaca

Gli archi dei diavoli, il masso della signora e la Santa Rosa: Salerno e provincia tra storia e leggenda

Dal dolce delle suore all'origine del pellegrinaggio a Pompei, dall'acquedotto stregato alla collina con la forma del fondoschiena di una donna. Non c'è angolo di Salerno e provincia che sfugga al racconto storico oppure alla suggestione della leggenda

Un giorno le suore del convento decisero di sperimentare e nacque la Santa Rosa, il dolce che ha battuto sul tempo la sfogliatella. E' dolce corona anche il rosario con i suoi misteri tante volte invocati durante il pellegrinaggio a Pompei, che parte anche da Salerno. Conoscete la sua origine? Un po' meno angelico era Barilario, lo stregone. C'è una storia, o forse leggenda, collegata all'antico acquedotto, l'arco dei diavoli. Non c'è angolo di Salerno e di provincia che sfugga al racconto storico oppure alla suggestione, compreso il masso (o "mazzo", per i salernitani) della Signora.

I vecchi abitanti della costiera ti fissano negli occhi con sguardo fiero. Fanno una premessa, mentre i baffi si sporcano di zucchero a velo: “Quale riccia? Siamo arrivati prima noi”. Si riferiscono alla “Santa Rosa”, una delizia tutta salernitana. Il dolce fu ideato nel ‘600 nell’omonimo convento di Conca dei Marini. Mentre a Napoli la ricetta ha subito rivisitazioni trasformandosi nella sfogliatella riccia, in Costiera Amalfitana si è perfezionata senza discostarsi dalla ricetta tradizionale.

Le cose più belle – e saporite – nascono sempre per caso, a furia di sperimentare. Fu così anche per la Santa Rosa. Nella cucina del convento era avanzata pasta di semola e la suora addetta alla cucina aggiunse un po' di frutta secca, zucchero e limoncello. Ottenne un ripieno. La crema ricavata fu collocata sulla sfoglia spianata. Aggiunse sugna, zucchero, un goccio di vino e ricavò la pasta frolla. Al dolce fu data la forma del cappuccio monacale. Il suo nome, “Santa Rosa”, fu scelto in onore della Santa alla quale era intitolato il monastero. Negli anni a seguire, ne furono sfornate altre centinaia il 30 agosto, giorno di Santa Rosa. A Conca dei Marini va così da secoli. 

Si narra che la tradizione del pellegrinaggio a piedi a Pompei, con partenza anche da Salerno, sia nata dal voto di alcuni soldati. Riunitisi in preghiera, chiesero alla Madonna di tornare sani e salvi dal fronte. E così raggiunsero a piedi il Santuario della Vergine. La sua storia è legata al fondatore, il beato Bartolo Longo: insieme alla moglie, la contessa de Fusco, dedicò la sua vita al servizio dei bisognosi.

Sull’altare del Santuario maggiore spicca il quadro della Madonna collocato tra marmi policromi, lastre di onice, lapislazzuli e quindici medaglioni in rame sui quali sono dipinti i “misteri” del Rosario. Il 13 Febbraio 1876 il dipinto della Vergine fu mostrato per la prima volta: risale a quel giorno il primo miracolo, con la guarigione di una ragazzina che il professor Cardarelli aveva giudicato inguaribile. La voce si sparse e migliaia di fedeli giunsero a Pompei. Si moltiplicarono, così, le offerte per la costruzione del Santuario. 

Il pellegrinaggio resta una delle forme devozionali più care ai fedeli: il cammino si svolge di notte, recitando il Rosario, e viene organizzato anche da diverse parrocchie della nostra provincia. Suggestivo il percorso, durante il quale i residenti delle zone interessate sono soliti lanciare petali di rose dai balconi e dalle finestre al passaggio del gruppo di pellegrini.

Se a Salerno chiedete indicazioni sul "Colle Bellara", il vostro interlocutore potrebbe anche avere un attimo di esitazione, prima di consigliarvi la strada da seguire. La risposta sarà senza indugio, istintiva e viscerale, se invece chiederete del Masso della Signora.

Masso o "mazzo"? E' la stessa cosa. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il Colle Bellara è stato collegato direttamente al promontorio dove oggi si trova il Forte La Carnale. La posizione strategica era non solo base logistica ma anche "fortino" degli alleati sbarcati a Salerno nel 1943 per liberare l’Italia dai nazifascisti. A Salerno il Colle è il Masso della Signora, anzi “Mazzo della Signora”. Perché? Guardandolo dalle colline di Giovi, sembra il fondoschiena di una bella donna. 

Il Castello Arechi di Salerno ha molto spesso "prestato il fianco" a racconti di cavalieri e dame: l’atmosfera misteriosa favorisce fantasiosi intrighi, storie, leggende. Ha ispirato tanti poeti e scrittori. Accadde anche ad Ugo Foscolo, nel 1812, per la "Ricciarda". Sebbene sia riportato da più parti che lo scrittore compose l’opera durante il suo soggiorno fiorentino, è pur vero che l’azione di questa tragedia si svolge a Salerno e che l’amore contrastato di cui narra è quello di Ricciarda e Guido, figli rispettivamente del tiranno di Salerno, Guelfo, e del suo fratellastro, Averardo.

La realtà vuole che Foscolo iniziò a scrivere la tragedia durante il soggiorno toscano ma che trovò vera ispirazione per la sua opera durante la breve sosta effettuata a Salerno durante l’estate del 1812: il poeta di Zante ebbe la possibilità di visitare il Castello Arechi che lo incantò. Ecco perché l’azione de “La Ricciarda” si svolge proprio tra le mura del castello salernitano che, all’epoca in cui il poeta lo visitò, era in completo stato di abbandono.

Chiunque attraversi il centro di Salerno non può non restare colpito dall’antico acquedotto che ancora svetta tra le vie principali della città: i suoi archi sono un’attrazione per il turista, mentre qualche salernitano più superstizioso ancora non osa avvicinarvisi in determinate ore del giorno a causa della leggenda sugli spiriti maligni. E' la leggenda degli archi dei diavoli. Perché l'acquedotto è conosciuto come ‘ponte re riavule’, ovvero del ponte dei diavoli?

La leggenda vuole che l’alchimista Piero Barliario, considerato un vero stregone all’epoca e grande conoscitore di chimica e della trasformazione della materia, costruì l’acquedotto grazie all’aiuto del Diavolo in una sola notte dando così ai salernitani la possibilità di essere riforniti d’acqua. La leggenda degli ‘archi del diavolo’, demonizzati dal popolino impressionato anche dagli strani archi ogivali mai visti prima, è stata tramandata di salernitano in salernitano e soprattutto ai più piccoli si racconta che se ci si trova sotto gli archi maledetti nelle ore dell’alba o del tramonto è possibile vedervi danzare diavoli e spiritelli maligni.


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